Proprio come per le informazioni ambientali ingannevoli, la cui diffusione è universalmente riconosciuta con il nome di “greenwashing”, anche per le informazioni sulla responsabilità sociale esistono pratiche affini e fortemente fuorvianti, azioni studiate al solo scopo di aumentare profitti e migliorare l’immagine pubblica.
Sono molte le aziende che mettono in atto pratiche di questo tipo, per auto promuovere attenzione a tematiche etiche e sociali, sempre più apprezzate da utenti e consumatori, che aspirano ad essere più consapevoli riguardo le proprie scelte di acquisto; parlare di sostenibilità e diritti dei lavoratori, diventa molto importante per acquisire una fetta di mercato, che altrimenti non si avvicinerebbe al prodotto o al brand.
Il “social washing” è proprio questo. Una strategia di marketing che diffonde affermazioni e informazioni prive di valenza e riscontri misurabili, che mira soltanto a far apparire etiche e sostenibili attività di aziende e società, che in realtà non sono affatto socialmente responsabili.
Per evitare, dunque, di cadere in tentazione, le aziende che vogliono comunicare correttamente il loro impegno sociale e il loro rispetto dei diritti dei lavoratori, devono necessariamente intraprendere percorsi di valutazione che possano garantire la massima trasparenza dei risultati, per certificare buone pratiche già esistenti o per fissare obiettivi e impegni futuri.
Se nel breve periodo il “social washing” può effettivamente generare un aumento dei profitti e un miglioramento della reputazione aziendale, è giusto ricordare che esiste anche l’effetto boomerang (quando l’azienda viene smascherata, dovrà subirne le conseguenze) e che i benefici per le imprese che decidono di certificarsi e rendicontare anche su tematiche sociali ci sono e saranno invece durevoli nel tempo, in termini di immagine ma non solo.
Vediamo l’esempio della certificazione sulla parità di genere.
I vantaggi per le imprese certificate:
- esoneri contributivi pari all’1 per cento sul totale dei dipendenti (fino a 50.000 euro annui),
- facilitazioni per i bandi europei,
- decontribuzioni per le assunzioni e un maggior punteggio nei concorsi pubblici
Inoltre, I benefici a lungo termine, potrebbero essere molti di più: secondo l’Osservatorio 4.Manager di Confindustria l’equilibrio di genere produrrebbe sul Pil italiano un aumento tra il 9 e l’11 per cento.
Per valutare la parità di genere vengono utilizzati 33 indicatori previsti dalla “prassi Uni Pdr 125”, suddivisi in 6 aree tematiche:
- cultura
- governance
- gestione risorse umane
- opportunità di crescita e inclusione delle donne
- equità remunerativa
- tutela della genitorialità
Non rischiare di fare errori che potrebbero compromettere la tua organizzazione!
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